Postille decimali / 3 di 10

Photo credit: @luciocampiani (Luca Cassarini)

April is the cruellest month…”

Ogni ferita è una feritoia. Come quella del protagonista del racconto, opera di pura fantasia dell’autore.

Per chi desidera, buona lettura.

LC.

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L’astuzia dell’animale morente

“Il ragno invisibile della malinconia stende sempre la sua ragnatela grigia sui luoghi in cui fummo felici e da cui la felicità è fuggita.”

(Bolesław Prus, La bambola)

Ritornò a casa che era tarda notte, quasi l’alba praticamente. 

Era andato tutto di merda. Urlava dentro di sé, ma fece piano, più che altro per evitare di farsi sentire dai vicini. Aveva bisogno di un’ultima cosa ma non ricordava cosa, inciampò per la stanza tra i suoi vestiti sparsi e quant’altro di più schifoso poteva trovarsi lì. Addobbato com’era, si abbandonò nel letto, di cui doveva cambiare le lenzuola da settimane ma puntualmente rimanevano sempre le stesse. Prima di chiudere gli occhi, notò il ragno, immobile come un manichino che esibisse la migliore mercanzia della ditta ovvero la ragnatela. La migliore seta, signora mia, la migliore che abbiamo…ecco come si immaginava i ragni, nelle sue elucubrazioni prima di addormentarsi. E non solo: i ragni erano anche questuanti o sacerdoti, si mettevano in posa ed aprivano le loro lunghe mani in attesa della manna dal cielo, o per intercedere col numinoso. Erano poi infidi e crudeli, perché aspettavano che qualcuno cadesse nella loro trappola. Erano inoltre fintamente umili, in quanto disponevano di tutte le risorse per andare avanti: insomma: erano furbi, erano ragni. Vedevano ogni angolo con i loro molteplici occhi che si giravano in tutte le direzioni.

Non aveva paura dei ragni, ma li onorava con piccoli sacrifici domestici: catturava per loro gli insetti e li deponeva nel piatto. Lanciava il suo obolo, come si può fare con uno straccione all’angolo della strada. Anch’essi si comportavano da straccioni, prediligendo gli angoli, gli anditi più spigolosi, dove poter stare in maggior vista ed al contempo massimamente nascosti. Erano furbi, erano vestiti di nero, erano l’ombra che avanzava. “Nella terra di Mordor!” pensò il ragazzo con un urlo, e chiuse gli occhi. Adesso temeva i ragni, li immaginava avidi salire su di lui, inoculargli il veleno, renderlo amorfo e pasteggiare con la sua anima. Poi fu ragno anch’egli, si immaginò con otto zampe diverse, quindi quattro braccia a quattro gambe, una selva di piedi e mani ad afferrare tutto, ogni cosa, e capiva il loro abnorme appetito: potevano giungere in ogni parte del loro piccolo angolo di mondo antico. Perché correre in lungo e in largo? Stavano fermi, come lui nel letto, sudario o bozzolo, larva o fuco, preda o predatore, non c’era differenza, era tutto e il contrario di tutto, come la notte che poi diventava giorno ma subito mutava di nuovo in se stessa – o viceversa?

Mugugnò qualcosa, voltandosi nel letto, pensando che doveva comprare il veleno spray, l’avrebbe dato dappertutto, avrebbe ucciso quei fottutissimi mostri dagli occhi di brace e dagli artigli di avvoltoio.

Era giorno di festa, da settimane, non doveva andare a lavoro, lasciava che fossero gli altri a tessere la tela di relazioni posticce, buongiorno e buonasera, oh che bel vestito oh che bel bambino, oggi è bello peccato domani sarà piovoso, finalmente è venuto un po’ di tepore che senza queste mezze stagioni non si ha più idee di cosa mettersi…erano parole al vento, per lui, le stesse che cercava di intercettare il ragno fingendosi morto, immobile, bonario, ma se la preda era piccola allora vuoi mettere la tragedia della cocente disillusione? Perché non comprava il veleno? Ma sì, il veleno. Quello che avrebbe usato un paio di volte al massimo, riposto in qualche mobiletto da giardino e lasciato a macerarvi fino al prossimo lustro che ne avrebbe avuto bisogno, allora avrebbe trovato una bomboletta mezza arrugginita, gli sarebbe esplosa tra le mani oppure spruzzandola non ne sarebbe uscito nulla, allora i ragni avrebbero preso il sopravvento su ogni cosa, prima casa sua, poi il suo quartiere, quindi la città, la regione e, grazie al tranquillo lavorio delle ottumplici zampe, avrebbero tosto conquistato il mondo…

Certo che doveva aver mangiato pesante, la sera prima, per perdersi in queste riflessioni così assurde e da ragazzino. Aveva 32 anni, ovvero otto per quattro. Ecco il ragno che si intrufolava nella sua mite esistenza, lo ricuciva, ne suturava gli orifizi, tutti quanti, e lui in quel bondage di basso gusto, si trovava impossibilitato a fare alcunché. Rifletté ancora sul veleno: non ce n’era bisogno. Il ragno era vecchio, ormai abitante della casa. Come affitto pagava in catture di insetti dannosi. Risparmiava sui buchi nei maglioni di lana o sulle dispense invase dalle formiche, sì. Ragno porta guadagno, come si soleva dire.

Stanco di dormire, si alzò e andò in bagno. Pisciò a lungo, aveva bevuto davvero troppo la sera prima. Per tacere del resto. Cos’era successo, ancora? Non ricordava. Forse una delle tante ragazze con cui aveva limonato, una delle tante che poi aveva lasciato andare. Avevano fumato qualcosa assieme, gli sembrava. O forse era stato con un’altra ancora, chissà quando, chissà perché. Beh, se fosse stato ragno, le avrebbe attirate nella sua tela. Se fosse stato Spider-Man sarebbe stato l’eroe perfetto, ambito da stuoli di ragazzine: nemmeno quello. Senza lavarsi le mani, l’acqua era stata chiusa da tempo per morosità, uscì dal bagno e tornò verso il suo letto. Si fermò, basito.

Il ragno, l’unico degno e capace di coabitare in quella stamberga, era in una posa innaturale, sopra la federa del suo cuscino. Mai e poi mai l’aveva visto così. Forse erano giunti i suoi ultimi giorni, forse voleva dargli l’ultimo saluto, unico suo amico fedele, al padrone severo ma giusto, che di tanto in tanto lo concimava di prede e premi, dunque come non dare un degno omaggio ad un re, da parte di un umile servitore, servo muto dalle molteplici staffe? 

Si avvicinò, per osservarlo meglio. Era davvero grande, se avesse avuto l’aracnofobia allora avrebbe davvero gridato di paura. Ma i ragni sono insetti, non criminali. E lui non era pauroso, non di quelle cose lì, dalle tante zampette da sarto.

Lo toccò col dito, non si mosse. Lo tastò un’altra volta: nulla.

Però non poteva stare in eterno su quel cuscino, un conto era aver paura, un altro provare schifo e fastidio. Insomma, un cadavere sul guanciale, anche no, grazie.

Visto che era morto, lo prese in mano. Fu l’errore della sua vita.

Il ragno si mosse, lo morse, lui ovviamente non se l’aspettava. Ecco il cane che morde la mano del padrone! Urlò di rabbia mista a fastidio, dalla sorpresa scivolò a terra, batté la testa, svenne. Se vi fosse stata una videocamera nel suo loft, sarebbe stata una scena perfetta per quei film comici, sketch da paperissima, insomma. Ma non c’era nessuno. Era il weekend, nel palazzo gli altri erano via per il ponte di chissà quale festività, tra le tante che venivano festeggiate da anni a questa parte.

Venne svegliato dall’ombra e dal solletico sul viso. Eppure non c’era nessuno, lì, oltre a se medesimo. Si sentì invischiato in qualcosa più grande di lui, a tratti appiccicoso. Non riuscì a muoversi. Colse il ragno che si muoveva celere in ogni dove. E dire che sembrava morto, foss’anche di dolore. Pregò che giungesse qualcuno, pregò che non fosse la sua ultima cena – di chi, non era importante.

Cercò di urlare, ma la bocca era impastata. Faticava a respirare, anche. Chiuse gli occhi, senza speranze. Gli sembrò quasi, di cogliere negli innumerevoli occhi che lo fissavano, quel barlume di furbizia che si può addurre solo a chi non ha più nulla da perdere. Come lui stesso, d’altro canto. Si rassegnò al suo destino, sperando di rinascere come farfalla dal suo bozzolo di seta. O come ragno. La sua astuzia, invece, era stata quella di bere più che poteva, ogni cosa che poteva, perché in fondo, si disse, non sai mai quando puoi morire, e se proprio devi, meglio farlo a stomaco pieno, delle cose migliori, mica delle birre più scadenti, tipo da discount in offerta. Almeno anche il ragno, succhiandone la linfa, avrebbe brindato come spillasse dalla botte buona.

Lo trovarono giorni dopo, cadavere magro e deperito.

Nella relazione del medico legale, risultò che il giovane era morto per asfissia. Le cause poteva esser stata l’overdose di droghe o una caduta accidentale, occorrevano ulteriori indagini in merito. Non si menzionavano punture di insetti, perché di fatto la stanza seppur polverosa e in uno stato increscioso, era vacante di alcunché di vivente. I vicini ammisero che erano settimane che non lo vedevano, ma ogni tanto lo sentivano parlare ad alta voce, anche di notte. Con chi, lo ignoravano e non avevano mai indagato oltre. Si era barricato in casa, nel suo bozzolo, nella sua tana. Auspicava di uscirne farfalla, o di non uscirne affatto, trasudò dai diari scritti concitatamente, forse quando biascicava a mezza voce contro se medesimo. Tra i carteggi della sua scrivania disegni di animali, perlopiù ragni, dai volti umani e dai corpi grotteschi, enormi, cerulei: erano chimere, qualcosa del genere. Nessuno reclamò il suo cadavere, nessuno ne pianse la dipartita. Infine, tempo dopo, per pietas e dovere statale, venne sepolto in un giorno piovoso di novembre, calato nella nuda e nera terra come quei faraoni egizi che rinasceranno a vita migliore, un giorno, forse.

Astutamente, si era fatto tatuare un ragno sul corpo, era nero e immenso, grande, là dove non batte il sole, dello stesso colore dell’ombra. Convinto che sarebbe rinato in tal veste, si era preparato da tempo al quanto, per tessere la sua tela, ordire le sue trame, spiare tutti e avere di tutto il controllo, con le sue molteplici paia d’occhi sempre aperti sul mondo grande come una stanza, polverosa, asfittica, vuota, con un letto disfatto dove un giorno vegetava un giovane, e ogni tanto gli rivolgeva parola, gli dava da mangiare, e lui tesseva la tela, per farne il miglior filato, cotta di maglia, regalo principesco. Stava solo preparando la livrea per il giorno fatale, sarebbe stato il suo abito migliore.

Nessun ragno, nessun morso? Solo un delirio psicotico per il troppo alcool ingerito dallo sventurato protagonista del racconto? La sua vita un sogno o un sogno la vita? Cos’è semmai l’astuzia? Fingere qualcosa che non è. Non tanto il ragno, che non arriva certo a questo, semmai lui, lui soltanto, come ultimo atto di una tragedia già scritta – e mai recitata, sempre vissuta.

Il giorno della sepoltura, per inciso, un invisibile filo gli correva da capo a piedi, quella formidabile seta, quel lascito di bava di ragno. Cosa fosse accaduto realmente, nessuno mai lo seppe, e tutto sommato, era anche di poca importanza. Dove sta adesso, sottoterra, è tutto un intrico di fili e zampe e polvere e trappole mortali. Quelle della sua mente.

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