Postille decimali / 5 di 10

Photo credit: @luciocampiani (Luca C.)

Buongiorno a chiunque giunga quaggiù per leggere quanto presentatovi.

Come sempre, rammento si tratta di una palestra di scrittura mia personale, un laboratorio-affabulatorio (…), un set di esercizi di stretching, o sessioni di allenamento che dir si voglia. Attualmente e mensilmente, pubblico qui scritti partoriti da me medesimo, anche se sotto pseudonimo (per modo di dire, visto che è sempre specificato il vero autore). In passato il lavorio mentale è stato piú serrato, volto a completare cose maggiori. Adesso l’impegno è destinato altrove, a questioni piú grandi e impellenti. Batto il ferro finché è caldo.

Le gemme piú propriamente compiute si possono trovare altrove, come indicato alla voce Portfolio di questo sito, costantemente aggiornato in caso di novità.

A chi vuole, buona visione. 😉

LC.

***

L’ORGOGLIO PRECEDE LA CADUTA

“Ci sono dei momenti nella vita in cui qualsiasi cambiamento è un cambiamento in meglio e ho pensato che la pioggia che cadeva ci stava preannunciando una svolta, che senza Constance e con la pioggia che scendeva, noi tre, solo noi tre, solo io, Patience e Louisa, saremmo potuti andare a stare in quel mondo in cui le famiglie perbene e rispettabili vivono in case fresche, con le cameriere e gli animali domestici e le automobili nel garage.”

(Peter Cameron, Una famiglia per bene – ispirato alle fotografie di Richard Tuschman)

Eccoci qua, tutti assieme appassionatamente. 

Sono tornato a casa, bestemmiando lungo tutto il tragitto, in macchina, fino a casa. Chi mi avesse scrutato dal finestrino avrebbe visto una persona inviperita, sbracciarsi e agitarsi, intervallata da sprazzi di radio e musica techno sparata al massimo volume. Poi ho infilato la macchina nel parcheggio davanti a casa, sono sceso ed ero tranquillo come un angioletto.

Ce l’ho fatta. Ce l’ho fatta a non arrabbiarmi anche dentro, in soggiorno, a non infuriarmi ulteriormente dopo aver sentito piovermi in faccia tutti i peggiori insulti di quello sputo d’uomo. Ero teso, ma più sereno. Sì, la serenità è la virtù dei forti, qualcosa del genere, lo devo aver letto da qualche parte, chissà dove, non ha importanza, insomma: ho trattenuto la rabbia, pensando al miglior sapore della vendetta, quando sarà consumata fredda. Lo farò, sì. Ecco, di questo ne ho parlato con mia moglie, che ovviamente mi ha sconsigliato di giungere a tanto, ma lei fa sempre così, è sempre mite nei consigli e nelle raccomandazioni, io annuisco, la ascolto e me ne frego. La lascio parlare, perché le donne devono parlare, ne hanno un bisogno esistenziale, zittirle è sbagliato e controproducente, allora la lascio sciorinare i suoi perché e percome, muovo ritmicamente il capo facendo finta di ascoltarla, quindi la ringrazio senza saper bene per che cosa, e torno ai miei affari, alle mie decisioni irrevocabili.

Poi arrivano i miei figli, cresciutelli ma ancora imberbi, evito ovviamente di presentar loro i miei problemucci, loro li ascolto per davvero, cercando di dare il massimo dei consigli che possano essere i più utili possibili. Poi torno ancora ai miei affari. Ci sediamo tutti al tavolo per la cena, manicaretti cucinati dalla rosticceria dietro casa, siam benestanti, ce lo possiamo permettere. Un pasto caldo, sì, ancora uno, certo, ma fino a quando?

Il problema è che sono orgoglioso. Ho un mio sentimento personale, un’autostima, insomma. Ecco, partendo da questo presupposto, si può ben capire come mai io, poi, giunga a certe scelte. Il problema è un altro, ora: sono stato licenziato. Ecco cos’è successo. Mi han dato il benservito, mi han detto che non hanno più bisogno di me, che sono stato fiore all’occhiello dell’azienda, che sono stato tra i migliori, e ora appunto posso anche farmi da parte. Lasciare il passo a chi è migliore di me, o più giovane, più intraprendete. I veri migliori sono coloro che sanno eclissarsi, una frase del genere detta dal mio supervisore, o capo, o ignoro chi fosse, la faccia pulita, il dopobarba costoso, le espressioni neutre da impiegare con qualunque fosse giunto alla sua fine naturale. Mancava la pietà o commiserazione nei suoi occhi, era come parlasse di un oggetto: si era rotto, se si poteva riparare era un bene, altrimenti pazienza, se ne sarebbe comprato un altro. 

Questo è il livello cui siamo giunti: non siamo più persone ma siamo meri oggetti, alla mercè di chiunque, dei grandi capitali, così come dei piccoli gruppi. Gli amici, la famiglia, i figli: ci consideriamo vicendevolmente oggetti o strumenti, l’importante è raggiungere i nostri scopi. Chi sono io per non poter fare altrettanto? Sarà meglio che mi svegli, no?

Ho preferito non parlargliene, di queste cose, a nessuno di loro. Vuoi mettere, a cena, mentre si sta assaggiando e assaporando dei piatti sopraffini…Perché dovrei? Me la caverò, ce la caveremo; se la caveranno, loro più di me. E poi, cosa vuoi che ne capiscano, i giovani pargoli? E mia moglie, casalinga indefessa? Faremo economia, faranno economia. I loro sogni si scontreranno contro il muro della realtà, com’è capitato a chiunque nella vita. La madre, più saggia ed esperta per queste cose, saprà spiegar loro tutto quanto. Lascerò un assegno per le spese correnti. Altri soldi li terrò con me, per cercare di sbarcare il lunario altrove. Non voglio vedere i loro visi giudicarmi severi: non voglio. Desidero semmai immaginarmeli lieti, felici, assorti, buffi, tutto insomma purché sia positivo, bello, lieto, sincero. Le menzogne delle mie parole si rifletterebbero sul loro biasimarmi, e non a torto. Le maldicenze e i rimproveri mi inseguiranno casomai leggeri, le parole van veloci, si muovono più in fretta delle persone, hanno più effetto. 

Ho atteso andassero a dormire. Mi hanno licenziato un mese fa, a dire il vero. Ecco il dettaglio di non poco conto. Sul mio conto, ormai, non c’è più una lira. A parte quel poco che può servirmi, aiutarmi. Sono stanco delle menzogne, di far finta di andare ad un lavoro che non ho più e tornare ad una casa che chissà per quanto potrà restare mia, nonché una famiglia che se non si disgrega poco ci manca. Succede sempre così: cede un pilastro, viene già tutta la struttura. Non se ne esce, dal cumulo di macerie: ci si può salvare prima, scappando dalla casa che crolla, e brucia, e si sbriciola sotto i tuoi piedi. Basta solo trovare il momento giusto per seguire la via di fuga.

Eccolo. Adesso stanno dormendo. Abbiamo preso i caffè, ho detto loro avevo del lavoro rimasto indietro. Ho atteso andassero tutti di sopra, a dormire. Racimolando le mie cose, ho preso la porta di casa, sono uscito. Avrei preso un’altra strada, non mi avrebbero più visto. Non sarei stato più un loro strumento, anche se accantonato e messo da parte. Sarei stato il loro feticcio perduto, mi avrebbero cercato a lungo, in tutti gli angoli, senza mai trovarmi. Sarei andato per la mia strada, smettendo di essere utensile, iniziando ad essere uomo. Senza ben sapere cosa voglia dire, “essere uomo”.

Inizia a cadere una pioggerella lieve, melanconica. È l’annuncio del cambio di stagione. Verrà il caldo, ovunque, nei cuori di tutti, tranne che nel mio. Il mio fuoco è esausto. Mi immagino il loro odio mal represso, nel gettare miei carteggi intimi nel camino, a mandarmi improperi violenti, chiedendosi dove io sia finito, e sperando sia finito alla malora, mentre loro hanno sempre pensato fossi quello dominante che, invece, dalla vita e dai suoi sgarbi è stato dominato.

Mi inventerò qualcosa, come sempre. Ce la farò. Per loro, sarà lo stesso.

***