42, e non aggiungo altro – 1

Photo by Black ice on Pexels.com

[Risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto]

«”Quarantadue!” urlò Loonquawl. “Questo è tutto ciò che sai dire dopo un lavoro di sette milioni e mezzo di anni?”
“Ho controllato molto approfonditamente,” disse il computer, “e questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda.”»

(Douglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti)

Anno nuovo, scritti vecchi (e nuovi). Come per i cantanti, che ad un certo punto della carriera musicale escono quei cofanetti con millemila canzoni evergreen ed una manciata di inediti, ecco, così sarà anche per questo blog.
Una selezione di “the best of” (?!), che saranno indicati di volta in volta, più una manciata scarna di inediti, altrettanto definiti. E poi? E poi basta così, almeno per quanto riguarda questo spazio virtuale. Non certo per la mia scrittura artigianale, ci mancherebbe altro. A fine Novembre saranno passati “Quattro anni per quattro chiacchiere con quattro gatti”. È stato necessario scegliere questa scadenza perchè col tre era leggermente più ostico il gioco di parole (tre anni per tre parole coi tre dell’ave maria, al più), col due già oltrepassato, col cinque impossibile. Rièn ne va plus.

{Sia chiaro: all’inizio pensavo di scrivere su questo blog/sito per un annetto solo – e si parla del 2019 – con una manciata di storielle tanto per, poi mi son fatto prender la mano perché l’appetito vien mangiando…😅}.

LC.

P.s.: Per non esser da meno, partirò con un inedito, genere fantasy. [Sinossi: una Regina desidera esplorare un presunto Nuovo Mondo, dopo la nascita di un (possibile) nuovo erede.] La serie di raccontini fantasy che ogni tanto punteggiano questo spazio virtuale poggiano su una storia più vasta, li considero dunque appunti sparsi fatti per mio personale divertissement o spunto. È un “dietro le quinte” che potrei tranquillamente omettere, ma tra i trucchi della scrittura mi piace anche impiegare il principio dell’iceberg, di Hemingway; ovverosia, la maggior parte della storia narrata poggia su qualcosa di omesso ma noto all’autore, dato che tralasciare qualcosa perché se n’è all’oscuro peggiora solo la cosa (a detta, pienamente condivisibile, del premio Nobel per la Letteratura). Ora, tornando alla storiella che segue, il motivo della digressione poggia sulla domanda che mi ero fatto riguardo ad una vicenda abbastanza significativa (necessaria ma non sufficiente) al dipanarsi della trama di una mia saga (…nel senso dello sviluppo della storia nel suo complesso, vasto e articolato): per quale motivo una Regina aveva scelto di lasciare la propria terra, così di punto in bianco? Orbene, ho cercato di dare (e darmi) una risposta più completa. Anche se non pienamente esaustiva.


P.p.s.: come scritto e come da titolo, saranno 42 post, non uno di più, non uno di meno. Diamo il via al final count-down (cit.). 😎

P.p.p.s: …chi vuole, dia il voto (sincero, però) in stelline, cliccandovi sopra. 💫 [Diamo il via al televoto…cit.] [Ricordo che rimane il mio voto che potrebbe confermare o stravolgere la classifica provvisoria… cit. xD]

Classificazione: 0 su 5.

IL BAMBINO E IL VELIERO

CORO – Tendo le vele, allargo l’ali immani / com’aquila sul mare della vita. / A fior d’acqua mi seguono i gabbiani; / di ragion la zavorra in mar finì. / Affonderà la mia paranza ardita / Ma è tanto bello navigar così!

(Henrik Ibsen, La commedia dell’amore)


“Sul punto di salpare, dato che soffiava per mare un gran vento e i timonieri rumoreggiavano, imbarcatosi per primo e ordinando di levare l’ancora gridò: “Navigare è necessario, vivere non è necessario!”

(Plutarco, Vita di Pompeo)

L’AVVERTIMENTO

“Nelle isole Canarie si ergeva l’enorme statua di bronzo di un cavaliere che indicava con la spada l’Occidente. Sul piedistallo era scritto: «Giratevi. Non c’è niente alle mie spalle».

R. F. Burton,
1001 Nights, I, 141

(Cit. da J. L. Borges e A. B. Casares, Racconti straordinari)


Era nato e lei era felice. Ma doveva partire.

«Mia Signora, più che i tempi non esattamente maturi, se posso osare dire, il problema maggiore è rappresentato dalle condizioni avverse che si presenterebbero. Sarebbe la prima volta, a memoria di Elfo, di un viaggio del genere. Il mare – il Grande Mare – che il nostro popolo venera, non restituisce mai le proprie prede, se non quando diviene troppo tardi per reclamare alcunché.»

«Lo so.» rispose. Poi, guardando fuori, verso Ovest, aggiunse: «Ma nel mare vivono comunque altri esseri…»

«Certo. Ma non al largo, non in mare aperto, dove chi ha avuto l’ardire di giungere, non ha visto neppure il fondale né lo ha toccato gettandovi pesi e corde. È solo acqua, nuda acqua, di quelle che imbrogliano.»

Una leggenda diceva che lo spicchio di terra emersa su cui vivevano era giunta con la benedizione degli Dei dopo aver innalzato un lungo Canto. O meglio: si era trattato di un grido di dolore, dalle onde immense, ed allora si fece terra ferma per la loro salvezza. Altri dicevano che prima del Canto vi era un’altra terraferma, ad Ovest, abitata dagli Uomini e poi sprofondata nell’abisso per la loro tracotanza. E quegli Uomini erano in maggior parte periti, se non quei pochi, che si erano salvati, lo avevano fatto perché avevano seguito gli Elfi Nomadi, prim’ancora che essi si aprissero al Canto per stabilirsi in quelle terre ri-emerse. Leggende, riscritture, rimaneggiamenti e passaggi avevano modificato parecchie cose, di quella antica Storia, ma un fondo di Verità doveva comunque esserci e Regina Lyanna credeva fortemente che nel lontano Ovest, oltre tutta quell’acqua informe, si trovasse un altro Continente. Doveva solo partire e scoprirlo.

«Quando la terra emerse del tutto, e cadde la prima neve sulle montagne, il patto era stato stabilito, mia Signora: anche l’acqua poteva dunque esser paragonata alla Terra, purché nessuno si avventurasse oltre il Mare Aperto.»

«So anche questo, anche se la versione originale affermerebbe “purché gli Uomini non si avventurassero oltre i loro confini”, ovvero le Montagne dove sono state innalzate le nostre Mura.»

«È una vecchia disputa sorta in seguito alla loro costruzione, che ne avrebbe giustificato il motivo.»

«Il motivo era evidente: gli Uomini ci odiavano.» Ma laggiù, in quel Lontano Continente, dovevano esserci altri Uomini, e a loro non ostili. «I saggi affermano la veridicità di quanto ho detto.»

«Il mio Maestro, sia benedetto il suo ricordo, era abile navigatore di Cytgrecia, e di tutt’altra opinione.»

«Una disputa, tuttora presente, non equivale ad una certezza. Dunque, nessuna regola mi vieta di partire.»

«Siete Voi, la Regina, e col Re avete l’ultima parola al riguardo, senza dubbio. Tuttavia, se posso permettermi, l’assenza di certezze espone a fin troppi rischi.»

«Rischi! Gli Elfi non corrono forse rischi?»

«Da quando hanno abbracciato le armi, un’infinità. Ma ora che la Guerra è finita…»

“Non è finita nessuna guerra, è solo sospesa, a covare come un fuoco sotto la cenere.” Avrebbe voluto dirlo, al Consigliere, ma se ne astenne. Aveva altre priorità.

«Ne siete certo?» si limitò a chiedergli, cercando di instillargli il germe del dubbio: ma era pur sempre un vecchio Servitore abituato ad annuire e ammonire, non a dubitare. Il dubbio era la moneta dei deboli, era il detto che serpeggiava tra i castellani e i sacerdoti.

«È quello che tutti speriamo, Mia Signora.»

«Anche la speranza non è certezza, ed anch’essa espone ad innumerevoli rischi. Sbaglio?» sperava di chiudere lì la questione ed occuparsi della prassi, ossia il viaggio. Nonché il bambino, suo figlio.

Lei poteva anche partire, certo. Ma era fuori discussione portare con sé l’Erede al Trono, non c’era nemmeno bisogno di chiederlo. La dinastia andava preservata, il ramo era forte ma solitario. Il vento poteva spezzarlo, come la tempesta puó spezzare l’albero maestro della nave. L’avrebbe visto, un domani? E se sì, in quale veste (sua, dell’altro)? Difficile saperlo, ora. Perché non sapeva cosa avrebbe trovato al di là del Mare Aperto. In lei era germogliato il seme del dubbio, oltre ad un sacco di altre cose, tipo un frutto nel ventre. Un neonato, quando ormai nessuno credeva possibile una sua gravidanza, il Re rassegnatoa dover lasciare ad altri il suo Regno. Lei rassegnata ad un’esistenza insterilità, o al più feconda di buone idee. Tipo il partire verso l’ignoto, e oltre.

Come Regina, Lyanna Ely dei Ferion aveva una stuolo di servitori alla sua Corte, pronti a darle ragione e sprecarsi in salamelecchi, ma era pur sempre il marito, Fèrion III del suo nome, il vero Sovrano. Ad esempio, se le avesse ordinato di restare, lei avrebbe dovuto farlo: rimanere, a fianco del suo Re. Sapeva che non si sarebbe spinto a tanto, ma sapeva anche che non le avrebbe mai permesso di portare con sé Orgon. Il discorso era un altro, in realtà, e loro…non sapevano, non sapevano troppe cose. Molte, forse, le avrebbero imparate un giorno, ma altre sarebbero rimaste celate a chiunque altro se non al proprio cuore. E lei doveva partire, diamine: a prezzo di innumerevoli rischi, ma i tempi erano maturi. Era come se con la nascita di suo figlio si fosse sganciato un cordone che lo tratteneva a quella terra, o meglio: un ormeggio che manteneva stabile nel porto la sua nave. Ecco, una bella nave pronta a sferzare le onde. Che nome le avrebbe dato?

Ciò che ignorava era quanti a lei fedeli avrebbero voluto o potuto seguirla. La fedeltà non equivaleva all’immolarsi, non certo per una causa, a detta di chiunque, persa. E comunque, anche nella migliore delle ipotesi, ciò avrebbe significato allontanarsi dalla propria terra natia e famiglia per parecchio tempo – se non per sempre. Chi poteva permettersi di pagare un siffatto prezzo? A parte lei stessa, ovviamente; e avrebbe pagato il prezzo più alto, essendo la loro Regina.

Il fatto era che se anche fosse potuta partire con uno sparuto gruppo di persone, lei da sola non avrebbe potuto farlo: donne sole in acque vaste erano immiscibili. E lei non era esperta dell’arte del navigare. La navigazione era tutto sommato cosa non troppo conosciuta dagli Elfi: amavano il Mare, sì, ma non spingevano troppo oltre. Le loro flottiglie affrontavano circumnavigazioni ristrette, da capo a capo, faro a faro o isola a isola, con la linea della costa sempre in vista, senza perdersi troppo nell’estesa landa azzurra. L’orizzonte distante aveva finora visto tuffarvisi Luna e stelle, mai navi e galeoni. Ma c’era pur sempre una prima volta per tutto, bastava avere coraggio o follia. O entrambe le cose.

«Come sapete, mia Signora, oltre i faraglioni di Capo Lyl si estendono chissà quante miglia d’acqua e chissà quanto profonde. Per fin dove può avanzare un’imbarcazione, prima che si strappino le vele, si rompano le funi, finiscano i viveri e cedano i nervi? Quante settimane, mesi, se non addirittura anni di viaggio sareste disposta a compiere verso il nulla, o comunque senza la possibilità di comunicare con alcuno? I messaggi viaggiano tanto meglio e tanto più sicuramente via terra o cielo, che per mare. Le incognite, a nostro modesto dire, sono troppe.»

«Sapete anche Voi, Consigliere, dell’esistenza di uccelli migratori che compiono lunghi viaggi e che sono stati visti solcare le coste giungendo da Ovest…»

«…raggiungendo piccoli scogli affioranti dal mare, è l’ipotesi più ovvia accettata, e che solo loro evidentemente conoscono, e sanno del loro periodico riaffiorare, al bisogno. Ma gli Elfi non hanno l’indole di uccelli migratori…»

«Eravamo un popolo nomade, un tempo.» la sua puntualizzazione non fece troppa presa.

«Mia Regina, per favore, pensateci bene prima di compiere siffatta mossa. Siete ancora in tempo per annullare tutto, visto che nulla è incominciato. Il popolo vi reclama qui, ora, ancora per un lungo tempo a venire.»

Chi parlava era fin troppo schietto, al limite dell’insulto, ma se non altro sincero. Era sepeggiata una tensione palpabile nela Sala del Trono quando la Regina aveva dato l’annuncio, scandendo chiaramente ogni singola parola perché non vi fossero fraintendimenti o incomprensioni successive – ma vi erano e sarebbero state comunque, come ovvio!

«È già tutto deciso. A breve, partirò.» aveva allora detto e stava adesso ripetendo. Sì, una partenza immanente. Immanente, ma disadorna da qualsiasi preparativo: peggio ancora. Navigare cieca e sorda in acque sconosciute.

Lòyr di Lew, quel giorno al suo fianco quale sua guardia del corpo oltreché Ispettore delle Spie, seppur abitutato alle asprezze delle sue terre ed alle asperità femminili, era rimasto sorpreso da tale annuncio. Un fulmine a ciel sereno, sostanzialmente. Silenzio improvviso e netto nel Canto. Lo stesso che era calato quel giorno, in quella Sala zeppa di persone, e rumori, e quant’altro, per annunciare la fine della guerra – e l’inizio della sua libertà: un altro parto, un’altra rottura delle acque. Più di una diga era crollata, in quel caso molte facce avevano assunto occhi umidi, le aveva notate una ad una. Era stata la costernazione di tutti tranne il Sovrano, il quale doveva per forza mostrarsi saldo e forse fingere di sapere già cose che invece ignorava completamente. Ma se avesse saputo, le avrebbe parlato: una Regina non poteva lasciare il Continente dopo una truce guerra, era una pazzia, perché c’era fin troppo da ricostruire ed altrettanto da consolare. O forse aveva parlato, le aveva detto qualcosa, ma non era servito a nulla: per lei, il problema non era più il se o il quando, ma il come. Il perché era scontato, seppur taciuto. Fossero dunque malelingue e pettegolezzi a colmare tutti gli spazi vuoti.

Il popolo l’amava, certo. Ed era ricambiato nel suo affetto. Ma il popolo poteva ben poco nelle decisioni Reali. Il Monarca era debole, seguito al padre subito prima di una guerra immonda. Guerra che covava anche tra i cortigiani e lei, purtroppo. Se era invisa a Corte, era meglio partisse. Se era ostracizzata dal Consiglio degli Anziani, meglio che se ne andasse. Se non piaceva ai princeps, era opportuno fare un passo, non indietro o di lato, semmai oltre. E oltre era proprio là dove iniziava il Mare. Con tutte le sue insidie, ma certo meno di quelle di Corte. Sarebbe tornata al momento opportuno, proprio quando il Popolo avrebbe avuto piúbisogno di lei. Come avrebbe fatto a saperlo? L’avrebbe sentito, prima ancora di vederlo, così come aveva sentito il frutto in grembo prima che la natura facesse appieno il suo corso, e cosí come aveva compreso era giunto il momento per aprire le vele e farle garrire in direzione della stella che declinava: quello era il segno più eloquente della necessità del suo viaggio.

Se qualcuno l’avesse ascoltata, sarebbe potuta partire senza remore: non era un suicidio, aveva studiato il movimento delle stelle, le mappe e le carte, il flusso continuo delle maree. Era certa vi fosse una nuova Terra, laggiù. Aveva saggezza e anzianità che praticamente nessuno dei suoi migliori consiglieri potevano eguagliare. Sottaceva quel dettaglio, non voleva esser invisa dai ciambellani, nemmeno queggli piú stupidi.

Era stata la nascita di Orgon a farle scegliere. Lode agli Dèi, è nato un Erede, avevano salmodiato allora i Sacerdoti degli Dei del Continente. Costoro avrebbero poi forse alzato lamenti alla sua dipartita? Quando avrebbe lasciato la costa dello Jimlan, si sarebbero levati pianti? La direzione era quella del nulla, per non tornare più. Era forse vero? Non era forse possibile che quelle gioie e quei singulti non sarebbero poi coincise con le stesse motivazioni che le avevano mosse le prime volte? Sarebbe stato solo il tempo, l’unico a poterlo affermare.

Al momento, se non altro, la Dinastia dei Fèrion sarebbe sopravvissuta. Un bambino era venuto alla luce, figlio primogenito del Re. Per una generazione almeno, le cose sarebbero proseguite. Poteva stare tranquilla: i tempi erano maturi, le acque calme. Sarebbe partita per dover poi tornare. Se non l’avesse fatto ora, sarebbe dovuta rimanere per sempre,

Tutto era dunque pronto, per la sua partenza, di sicuro la prima persona che potesse compiere la traversata più rischiosa, folle e improponible della Storia degli Elfi.

«Lasciatemi sola, per favore. Desidero riposare un momento.»

L’altro, con un inchino deferente, si allontanó. Lo guardó uscire dalla stanza come una barca che lascia il porto. Per un attimo, pensó che nella sua mente avrebbe chiamato la sua nave come quel consigliere: pesante, robusta, abile a scivolare sui marosi, le vele dello stesso colore del suo rubicondo mantello. Sì, piccoli dettagli permettono grandi imprese, si disse. Come un gruppo di oche bianche e nere puntare il loro volo verso Ovest, in una formazione ordinata nella forma di una freccia.

Riguardo al nome del vascello, decise di punto in bianco che l’avrebbe chiamato come suo figlio, Orgon: un bambino destinato a compiere grandi cose, un giorno. Quale miglior auspicio, quale piú entusiasta speranza? “Tornerò presto.”, promise, tormentadosi le pellicine della sue dita e osservando nella stessa direzione dove, quotidianamente, il sole declinava. Sperava fortemente che quel viaggio non rappresentasse per lei altrettanto declino, una nave in fiame che affonda in un mare color pece. Quell’immagine le rimase impressa a lungo nella mente, come una fiamma di candela che a fissarla a lungo si imprime nell’umore acqueo degli occhi. Cercò di pensare ad altro, con immensa fatica. Era un pensiero più pesante e gravoso di una semplice corona ferrea.

***